Kirkegaard, Pigmalione e le etichette

I colori di un caleidoscopio

Con l’argomento di oggi si ritorna un po’ all’importanza delle parole ed al  loro peso, che è stato già affrontato nell’articolo“L’arte di capire ciò che si intende – il non detto”. Infatti Oggi voglio parlare di etichette!

Non si capisce molto dal titolo, lo so!

Ma capirete in seguito!

Ho deciso di affrontare questo argomento perché ultimamente sto avendo difficoltà ad affrontare una situazione che mi riguarda. Nello specifico mi piacerebbe poter dare una definizione ben precisa a questa mia vicenda, ma non posso.

Questo, mi dà un senso di insicurezza e di paura.

Così ho deciso di soffermarmi sull’idea di etichette!

 

Le etichette

“Quando mi etichetti, mi neghi” – Soren Kirkegaard

 

Le etichette sono tutti quei nomi o quelle definizioni che diamo a ciò che ci riguarda. Etichettando, diamo forma alla realtà. Le attribuiamo qualità fisiche o psicologiche positive o negative, la cataloghiamo a seconda della nostra percezione o esperienza.

Queste rappresentano il modo più veloce che conosciamo per farci un’idea di ciò che abbiamo di fronte e di noi!

Beh, allora sono utilissime no?

Non proprio!

Sicuramente in alcuni casi le etichette sono estremamente d’aiuto, ma la maggior parte delle volte esse non fanno che categorizzare sommariamente qualcosa. Sono paragonabili a dei cerotti su una ferita aperta e sanguinante. Dei palliativi.

Questo si verifica perché nella realtà le etichette si basano su degli stereotipi e tendono ad inquadrare qualcosa in maniera soggettiva secondo giudizi ed opinioni instabili.

Molte di queste vengono attribuite soprattutto alle persone che ci circondano e spesso fino dalla tenera età. In pochi però, sanno che queste potrebbero scatenare il così detto effetto Pigmalione.

L’effetto Pigmalione o effetto Rosenthal è una forma di suggestione per cui le persone tendono a conformarsi all’immagine che altri hanno di loro. Un po’ come l’effetto placebo.

Che siano positive o negative, esse possono comunque generare stress o ansia a causa delle aspettative che si portano dietro.

Pertanto, se io verrò definita una persona forte o sempre solare, sulla base di quella che è la mia personale definizione di queste due etichette, io potrei finire per non mostrare mai le mie emozioni o le mie lacrime in quanto andrebbero in conflitto con l’etichetta che mi è stata data.

Allo stesso modo, se mi venisse detto che sono una persona studiosa (secchiona), probabilmente finirei per diveltarlo davvero e passare la maggior parte del tempo sui libri. Questa situazione potrebbe portarmi a credere che lo svago non sia necessario e farmi diventare estremamente ansiogena e perfezionista.

Naturalmente questo non accade sempre, ma ciò non toglie che le etichette siano un’arma a doppio taglio e che possano effettivamente essere interiorizzate da alcune persone a tal punto da farle diventare l’etichetta.

 

Perché fanno così male?

Potremmo pensare alle etichette come al Marchio Nero dei mangiamorte in Harry Potter. Si tratta di un marchio a vita, permanente. Infatti, come si sente spesso nella storia “chi è stato un Mangiamorte, sarà sempre un Mangiamorte”.

Nonostante ciò, Severus Piton, durante la sua vita ha deciso di cambiare e di smettere di essere un seguace di Voldemort.

Allo stesso modo del Marchio Nero le etichette sono indelebili e lasciano poco spazio all’idea di cambiamento che può avvenire in qualcosa o qualcuno.

Ogni qual volta applichiamo un’etichetta, limitiamo la ricchezza e la diversità di ciò che ci circonda. Quando etichettiamo qualcosa smettiamo di vedere il suo quadro completo. Finiremo per vedere una sola delle facce del poliedro, limitandoci anche la futura possibilità di scoprirne le altre.

Infatti, usiamo spesso le etichette quando la realtà è così complessa da travolgerci psicologicamente, o quando non abbiamo gli strumenti cognitivi per valutare in prospettiva ciò che sta accadendo.

Da questa prospettiva, ogni etichetta è come un tunnel che chiude la nostra visione a una realtà più ampia e complessa.

 

E allora?

Con questo non voglio dire che bisogna smettere di parlare per evitare di etichettare gli altri o noi stessi! Assolutamente no.

Personalmente credo sia estremamente difficile eliminare tutte le nostre etichette e cominciare a pensare liberamente.

Nonostante ciò, si può imparare ad essere più flessibili e malleabili. Ci si può ricordare che viviamo in una realtà dinamica e non statica, pertanto siamo in continuo mutamento.

Non bisogna spaventarsi davanti alla complessità di ciò che ci circonda. Questo non è per forza qualcosa che ci deve travolgere.

La complessità non è sempre negativa. Il bello è proprio questo!

L’incredibile risiede nella presenza delle numerose sfaccettature attraverso cui si può vedere ciò che ci circonda! Proprio come se si guardasse da un caleidoscopio.

E la realtà di un caleidoscopio, per quanto confusionaria e mutevole sarà sempre meravigliosa e ricca di colori.

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